La legge del 24 luglio 2024 n. 105 di conversione del decreto Salva Casa 2024 (decreto-legge del 29 maggio 2024 n. 69) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 27 luglio. Diverse le novità introdotte nel corso dell’esame in Parlamento. Proprio per analizzare le modifiche apportate dalla norma contenente disposizioni in materia di semplificazione edilizia e urbanistica e di maggiore interesse per i proprietari di immobili, la Confedilizia ha organizzato un seminario web nel corso del quale l’avvocato Giovanni Govi e il geometra Alessandro Rizzi, componenti del Coordinamento urbanistico della Confedilizia, coordinati da Antonio Nucera, responsabile del Centro Studi della stessa organizzazione dei proprietari di casa, hanno commentato quanto disposto dal provvedimento con particolare attenzione all’ampliamento degli interventi realizzabili in regime di edilizia libera, alle nuove regole per dimostrare lo stato legittimo degli immobili, alle tolleranze costruttive, alla regolarizzazione delle varianti ante 1977, all’accertamento di conformità, al mutamento di destinazione d’uso e al recupero dei sottotetti.

Il decreto Salva Casa (decreto 69/2024), convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 luglio 2024, ha apportato modifiche al Testo Unico delle disposizioni edilizie. Come sottolineato in apertura del seminario web, le novità sono molte. Ma cosa si può fare e cosa non si può fare? Perché, è vero, il decreto Salva Casa regolarizza alcune situazioni e renderà più facile la commerciabilità degli immobili, ma non si tratta di un condono. Vediamo dunque le novità che sono di maggiore interesse per i proprietari di immobili in base a quanto spiegato e illustrato dall’avvocato Giovanni Govi.

Ampliamento degli interventi realizzabili in regime di edilizia libera
L’articolo 6 del Testo Unico, quello che disciplina l’attività di edilizia libera, è stato fatto oggetto di ulteriori modifiche. In particolare, il Salva Casa ha introdotto alla lettera b-bis dell’articolo 6 la possibilità di realizzare in attività di edilizia libera le cosiddette vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti (Vepa) anche, oltre a quello che era già previsto, con riferimento ai porticati rientranti all’interno dell’edificio.

Nello specifico, deve trattarsi di vetrate che abbiano effettivamente quei requisiti che la norma espressamente richiede; deve quindi trattarsi di vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti dirette ad assolvere funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche. Ovviamente, non devono assolutamente configurare spazi stabilmente chiusi, altrimenti si tratterebbe di nuova volumetria e di mutamento di destinazione d’uso dell’immobile. In tal caso, si uscirebbe dallo spettro dell’edilizia libera.

È dunque fondamentale che si tratti di Vepa, vetrate amovibili e completamente trasparenti, che siano quindi tutte completamente di vetro, ripiegabili e impacchettabili, senza neppure ad esempio profili di alluminio agli angoli.

Un’altra interessante modifica riguarda la lettera b-ter. Anche in questo caso si parla di attività in edilizia libera, nello specifico ci si riferisce alle tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola con telo retrattile anche impermeabile, tende a pergola con elementi di protezione solare mobili o regolabili la cui struttura di tutte queste tipologie sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse, ma necessarie al sostegno e all’estensione dell’opera.

Anche in questo caso, la norma si preoccupa di ribadire che tutte tali tipologie, proprio per essere effettivamente in attività di edilizia libera, non possono determinare la creazione di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volume e di superficie, devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche. La legge di conversione ha introdotto una specifica secondo cui rientrano nell’attività di edilizia libera anche le tende a pergola con telo retrattile anche se bioclimatiche.

Come sottolineato, c’è la preoccupazione e l’attenzione della norma a includere nell’attività di edilizia libera tutta quella serie di elementi esterni, di arredo esterno, che al giorno d’oggi si presentano in una molteplicità di tipologie, alcune delle quali – se non espressamente nominate – evidentemente facevano sorgere il dubbio che non fossero comprese nell’attività di edilizia libera, ma che dovessero poi collocarsi in qualche altro tipo di intervento richiedente qualche altra procedura.

Nuove regole per dimostrare lo stato legittimo degli immobili
Un altro articolo importante è il 9-bis, che disciplina lo stato legittimo, quindi l’attestazione e la documentazione dello stato legittimo. Con l’introduzione del decreto Salva Casa c’è stato un cambio di impostazione: non si è più necessariamente obbligati a fare riferimento alla coesistenza dello stato legittimo come stabilito dal titolo abilitativo originario e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio. Questo è un passaggio di impostazione importante, perché il tecnico abilitato che deve fare riferimento allo stato legittimo, soprattutto quando deve presentare una ulteriore nuova pratica edilizia oppure quando deve attestare una conformità in sede di alienazione di un’unità immobiliare, ha la facoltà di alternativamente fare riferimento anche soltanto al titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio.

Tra l’altro, la legge di conversione ha portato una modifica anche sotto questo profilo perché nella versione originaria lo stato legittimo era previsto come rilasciato, laddove si facesse riferimento a quello risultante dall’ultimo intervento edilizio, come risultante di un procedimento idoneo posto in essere dall’amministrazione. Previsione che aveva lasciato perplessi molti commentatori perché questo procedimento idoneo pareva fosse proprio un aggravamento di un iter che invece voleva essere più semplice. Adesso vi è la condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del titolo edilizio, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi. Questo per dare la tutela dell’affidamento legittimo di chi ha presentato il titolo edilizio ultimo ed è stato verificato dall’amministrazione ed è stato rilasciato, con il che intendendo che anche laddove vi fossero eventuali discrasie l’amministrazione non le ha ritenute di rilievo.

L’articolo 9-bis ha poi una serie di ulteriori previsioni, perché ha sostanzialmente aggiornato e integrato i riferimenti dei titoli edilizi idonei a stabilire lo stato legittimo con riferimento anche ai titoli rilasciati o formati in applicazione delle norme sull’accertamento di conformità, ai sensi dell’articolo 36 del Tur, delle norme sull’accertamento di conformità con quella doppia conformità cosiddetta semplificata prevista dal 36-bis del Testo Unico e delle varie sanzioni pecuniarie e oblazioni che concorrono a formare il riferimento dello stato legittimo.

Di particolare interesse per gli immobili in condominio vi è poi il comma 1-ter, introdotto ex novo dalla legge di conversione e quindi inserito ex novo nel corpo dell’articolo 9-bis: ai fini della dimostrazione dello stato legittimo delle singole unità immobiliari non rilevano le difformità insistenti sulle parti comuni dell’edificio di cui all’articolo 1117 del Codice civile. Si tratta di un chiaro riferimento alle parti comuni di un edificio condominiale, alle facciate, ai muri perimetrali, al tetto, ma soprattutto il riferimento a cui va il pensiero è alle facciate o anche alle coperture. La norma prosegue prevedendo l’ipotesi speculare invertita: ai fini della dimostrazione dello stato legittimo dell’edificio non rilevano le difformità esistenti sulle singole unità immobiliari dello stesso. In questo punto c’è sostanzialmente una sorta di sdoppiamento per quanto concerne il riferimento allo stato legittimo a seconda che ci si riferisca alla singola unità immobiliare all’interno di un condominio e interessi quindi lo stato legittimo di quella singola unità ovvero viceversa a seconda che invece ci si riferisca allo stato legittimo dell’edificio condominiale.

C’è poi una modifica, con l’inserimento di tre nuovi commi (5-bis, 5-ter e 5-quater), all’articolo 24 del Testo Unico dell’Edilizia sull’agibilità. La novità è che dopo tanto preannunciare rispetto alla possibile deroga di alcuni requisiti igienico sanitari previsti dalla normativa vigente, in effetti nel comma 5 -is troviamo qualche elemento di novità salvo molte condizioni che vengono apposte. Secondo quanto previsto, il progettista abilitato, fermo restando il rispetto degli altri requisiti igienico sanitari, è autorizzato ad asseverare la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie nelle seguenti ipotesi: locali con un’altezza minima interna inferiore a 2,70 metri fino al limite massimo di 2,40 metri; alloggio monostanza con una superficie minima comprensivo dei servizi inferiore a 28 m2 fino al limite massimo di 20 m2 per una persona; alloggio monostanza comprensivo dei servizi inferiore a 38 m2 fino al limite massimo di 28 m2 per due persone. I seguenti commi, 5-ter e 5-quater, introdotti sempre dalla legge di conversione, pongono una serie di rilevanti condizioni. Sembrerebbe dunque che il legislatore abbia voluto concedere deroghe, ma ne abbia poi limitato l’effettiva portata.

Tolleranze costruttive
Per quanto riguarda le tolleranze, il decreto Salva Casa è intervenuto anche sull’articolo 34-bis del Testo Unico in un modo che da una parte è di buon senso anche da un punto di vista dell’effettiva applicabilità e applicazione, dall’altra meno condivisibilmente limitando temporalmente l’estensione delle cosiddette tolleranze esecutive e costruttive. Il comma 1 dell’articolo 34-bis prevedeva – e continua a prevedere – la disciplina ordinaria, valida quindi per tutti gli interventi a prescindere dall’epoca della loro esecuzione, delle tolleranze costruttive: il mancato rispetto dell’altezza, della distanza, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo.

La grande novità del decreto Salva Casa è stata ed è tuttora confermata dalla legge di conversione, anzi con un’ulteriore previsione in ampliamento, l’introduzione del comma 1-bis, che prevede una disciplina ulteriore rispetto a quella del primo comma con riferimento a queste stesse discrasie, a queste stesse mancanze di conformità rispetto ai parametri edilizi del titolo edilizio a cui ci si riferisce, ampliando però la percentuale di tolleranza, prevedendola in una misura inversamente proporzionale rispetto alla superficie utile dell’unità immobiliare o comunque dell’immobile a cui ci si riferisce.

Regolarizzazione delle varianti ante 1977
C’è poi l’introduzione dell’articolo 34-ter, ex novo, che prevede la possibilità di regolarizzare gli interventi realizzati come varianti in corso d’opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima del gennaio 1977, anche se non rientrano nelle tolleranze già previste.

L’importante novità è al comma 4, il quale prevede che le parziali difformità realizzate durante le esecuzioni dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all’esito di sopralluogo o ispezione di funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, sono soggette alla disciplina delle tolleranze di cui all’articolo 34-bis alle seguenti condizioni: non sia stato emesso un ordine di demolizione o ripristino; sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o agibilità nelle forme previste dalla legge e rispetto alle quali non sia poi intervenuto alcun atto di annullamento e non sia neanche più annullabile.

Accertamento di conformità
Un ulteriore intervento in sede di conversione sull’articolo 36 e 36-bis, i due articoli di riferimento per quanto concerne l’accertamento di conformità, è la previsione della possibilità di ottenere un permesso di costruire o una Scia in sanatoria. Ciò era già previsto nel nostro ordinamento a livello statale con l’articolo 36 del Testo Unico dell’Edilizia, il quale però prevedeva e tuttora prevede – sia pur con uno spettro meno ampio rispetto a quello precedente – il requisito della doppia conformità, cioè la conformità alla normativa edilizia e urbanistica sia vigente al momento della realizzazione dell’irregolarità sia vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria stessa.

Ora di accertamenti di conformità ce ne sono due: uno è quello dell’articolo 36, che prevede i casi più gravi e che rimane sostanzialmente l’accertamento di conformità classico; l’altro è quello dell’articolo 36-bis, che prevede una doppia conformità semplificata, attenuata, per interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Scia vera e propria, ovvero in assenza o difformità dalla Scia, o ancora – novità della legge di conversione – in caso di variazioni essenziali come elencate e previste dall’articolo 32 del Testo Unico. La novità tra il decreto Salva Casa e la legge di conversione è che le variazioni essenziali passano dallo spettro di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36 all’accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36-bis.

Mutamento di destinazione d’uso
Per il mutamento di destinazione d’uso il decreto Salva Casa interviene con l’introduzione di nuovi commi, dall’1-bis all’1-quinquies dell’articolo 23-ter. Quest’ultimo articolo già di per sé, al primo comma, prevedeva – salvo diverse previsioni da parte di leggi regionali – il principio per cui costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare a una diversa categoria funzionale tra quelle sottoelencate: a) residenziale, a bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. Il Salva Casa, al comma 1-bis, prevede che la facoltà di mutamento della destinazione d’uso – anche con opere – della singola unità immobiliare all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito. C’è però la previsione che ciò avvenga nel rispetto delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni.

Il comma 1-ter ammette i mutamenti di destinazione d’uso, rende quindi possibili i mutamenti di destinazione d’uso – tolto l’inciso “senza opere”, quindi con o senza opere – tra diverse categorie funzionali ad eccezione di quelle rurali di una singola unità immobiliare ubicata in immobili compresi nelle zone A, B e C. Tra le condizioni vi è sempre quella, oltre al rispetto della normativa di settore, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni. Tra le novità introdotte in sede di modifica vi è quella che gli strumenti urbanistici comunali nel fissare specifiche condizioni si debbono anche accertare di prevedere le ipotesi nelle quali questa ammissibilità di cambio d’uso possa riguardare i locali al piano terra e al seminterrato. La norma statale richiama la competenza del legislatore regionale nel prevedere i casi in cui questa liberalizzazione o semplificazione dei cambi d’uso si applichi – previa previsione degli strumenti edilizi locali – ai piani fuori-terra e ai seminterrati.

Recupero dei sottotetti
In questo caso il Salva Casa offre un “ombrello” di copertura statale a normative regionali. L’articolo 2-bis, il cui titolo è “Deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati”, il cui comma 1-ter è famoso perché disciplina tutto quello che concerne l’ispessimento dei cappotti dell’efficientamento, al comma 1-quater recita: “Al fine di incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa, limitando il consumo di nuovo suolo, gli interventi di recupero dei sottotetti sono comunque consentiti, nei limiti e secondo le procedure previste dalla legge regionale, anche quando l’intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a condizione che siano rispettati i limiti di distanze vigenti all’epoca della realizzazione dell’edificio, che non siano apportate modifiche nella forma e nella superficie dell’area del sottotetto, come delimitata dalle pareti perimetrali, e che sia rispettata l’altezza massima dell’edificio assentita dal titolo che ne ha previsto la costruzione. Resta fermo quanto previsto dalle leggi regionali più favorevoli”. Si tratta dunque di un articolo che dà una copertura statale, soprattutto in materia di deroga ai limiti delle distanze attuali che fossero più restrittive rispetto a quelle dell’epoca di realizzazione dell’edificio, ma che dà dei limiti rispetto a modifiche che invece non devono interessare forma, superficie, area e altezza massima, salvo più permissive leggi regionali.

 

Fonte: Idealista 06/08/2024